mercoledì 15 febbraio 2012

Inquadratura oggettiva e soggettiva



La scomposizione di una scena in inquadrature riprese da diversi punti di vista determina il carattere ubiquo dello spettatore, il quale osserva ciò che succede, di volta in volta, dalle posizioni migliori.


Le inquadrature vengono classificate come oggettive se la macchina da ripresa propone uno sguardo esterno, quello di un istante narrante che sovrintende all'esposizione dei fatti: in sostanza lo spettatore assiste alla scena come se spiasse dal buco della serratura.

Le inquadrature vengono denominate soggettive quando mostrano ciò che guardano i personaggi: lo spettatore vede ciò che vedono i personaggi. Il passaggio da un'inquadratura oggettiva (ad esempio un primo piano di una persona che guarda qualcosa, quindi verso il fuoricampo) ad una soggettiva (ciò che il personaggio sta guardando) fa “entrare” lo spettatore nella vicenda raccontata, per cui favorisce il processo di immedesimazione.

Ecco un esempio. Nell'inquadratura qui sotto (inquadratura A), è ripresa l'attrice Janet Leigh (nei panni di Marion Crane in Psycho, Alfred Hitchcock 1960) a bordo della sua automobile: lo sguardo della telecamera è oggettivo (ci mostra il personaggio, avvicinandoci anche al suo stato d'animo attraverso un primo piano). Il personaggio guarda al di là dell'inquadratura (quindi fuoricampo) e il regista subito dopo ci mostra cosa l'attrice sta vedendo, ovvero ci cala nel suo punto di vista, quindi la telecamera assume uno sguardo soggettivo (inquadratura B).

Inquadratura A
Inquadratura B

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